LE VITE DEGLI ALTRI

Berlino Est, 1984. Il laido ministro della Cultura Bruno Hempf s'incapriccia a teatro della popolare attrice Christa Maria Sieland (Martina Gedeck), fedele compagna del commediografo di successo Georg Dryman (Sebastian Koch).

La voglio, sibila serpentino allo zelante burocrate tenente colonnello della Stasi, la polizia di stato che spia e controlla la vita dei cittadini della DDR, Anton Grubitz, che passa la pratica ad un abile ed efficiente subalterno, l'inflessibile capitano Gerd Wiesler (Ulrich Muhe), un idealista votato alla causa comunista, servita con diligente scrupolo. Chiaramente il ministro vorrebbe trovare prove a carico dell'artista per avere campo libero.

Microspie e telecamere, l'appartamento della coppia diventa un libro aperto per lo spione di Stato, che origlia e scruta da vicino.
Mentre la donna deve sottostare alle brame dell'ingordo potente, lo scrittore s'accorge (solo) delle corna. Ma il destino ha in serbo molte sorprese.

Ma la cosa più sorprendente è che l'intercettazione sortirà l'esito opposto, Wiesler entrerà nelle loro vite non per denunciarle ma per diventarne complice discreto. La trasformazione e la sensibilità dello scrittore lo toccheranno profondamente fino ad abiurare una fede incompatibile con l'amore, l'umanità e la compassione.

LE VITE DEGLI ALTRI è un amaro, crudele, struggente dramma di un esordiente tedesco (Oscar al film straniero), Florian Henckel von Donnersmarck, che all'epoca dei fatti, quando le Germanie erano due e un muro lungo 46 km attraversava le strade e il cuore dei tedeschi, era poco più che un bambino.

Riuscendo comunque a raccontare con esemplare asciutezza paure, ricatti e umiliazioni di chi, prima della caduta del Muro, osava non allinearsi al fanatico regime comunista.

La riflessione e l'interesse per il comportamento della popolazione, degli artisti e degli intellettuali nei confronti del regime comunista appartengono a uno sguardo adulto e documentato sulla materia. Ricordi personali e documenti raccolti rievocano sullo schermo gli ultimi anni di un sistema che inevitabilmente (e per fortuna) finirà per implodere e abbattere il Muro.

Aprire squarci , anche se non più sorprendenti, sulla realtà comunista, su una esistenza condizionata dalla diffidenza e dal sospetto (chiunque poteva essere un delatore: bastava la sua parola per finire al muro o in un gulag), attanagliata dall'incertezza del domani (l'"auto nera" che si fermava davanti al portone di un caseggiato ripartiva immancabilmente con un uomo o una donna della quale non si sarebbe saputo più niente. O il sentir bussare all'uscio nel cuore della notte: una condanna a morte) e dalla occhiuta, inquisitoria burocrazia vale sempre il prezzo del biglietto.

La stretta sorveglianza, le perquisizioni, gli interrogatori, la prigionia, la limitazione di ogni forma di espressione e l'impossibilità di essere se stessi è messa in scena dai tre magnifici protagonisti, costretti a rinunciare anche alla dignità,tra i quali spicca il prematuramente scomparso Ulrich Muhe, il grigio burocrate improvvisamente lacerato dal dubbio.

Le vite degli altri ha così il filo conduttore ideale proprio nel personaggio dell'agente della Stasi, nascosto in uno scantinato a pochi isolati dall'appartamento della coppia protagonista.
È lui, la spia, il singolare deus ex machina che non interviene dall'alto, come nella tragedia greca, ma opera dal basso, chiuso tra le pareti dell'ideologia abbattuta dalla bellezza dell'uomo e dalla sua arte.
Personaggio dolente e civilissimo, ideologo del regime che in un momento imprecisato del suo incarico si trasforma in oppositore.

Il "metodo" della sorveglianza diventa per lui fonte di disinganno e di sofferenza, perchè lo costringe a entrare nella vita degli altri, che si ingegnano per conservarsi vivi o per andare fino in fondo con le loro idee.
Gerd Wiesler contribuisce alla riuscita dello "spettacolo" con suggerimenti, correzioni (alle azioni della polizia), aggiustamenti (dei resoconti di polizia) e note di regia che se non avranno il plauso dei superiori avranno quello dei sorvegliati.

"Attori" che recitano la vita ai microfoni della Stasi e nella cuffia stereo dei suoi funzionari.
La vita quotidiana fatta di paure ed espedienti è restituita da una fotografia cupa e bruna, tinte monocromatiche che avvolgono i personaggi decisi a sopravvivere, a compromettersi e a resistere. La Stasi aveva un esercito di infiltrati, duecentomila collaboratori, Donnersmarck ne ha scelto uno e lo ha drammatizzato con la prova matura e sorprendente di Ulrich Mühe.

Il drammaturgo "spiato" è invece lo stesso Sebastian Koch di BLACK BOOK, l'ufficiale nazista riabilitato, intellettuale "resistente" per salvare l'anima del teatro e della Germania.