FAI BEI SOGNI

Torino, 1969. La mamma ha avuto una crisi cardiaca fulminante, dicono i protettivi parenti al piccolo Massimo (Nicolò Cabras).

A nove anni non si comprende, e la pietosa bugia serve al padre che è riluttante a renderlo partecipe della morte della donna.

Per provare a salvarlo dal dolore. Inutilmente.

Il tempo passa e dopo un'infanzia solitaria e un'adolescenza difficile, ora Massimo (Valerio Mastandrea) è un giornalista affermato.

Però continua a convivere con il ricordo lacerante della madre scomparsa, nonché con un senso di mistero circa la sua improvvisa dipartita.

Quel dolore gli è rimasto dentro e neanche la dolce dottoressa Elisa (Bèrènice Bejo) riesce ad alleviarlo.

Almeno fino a quando non scoprirà la verità.

FAI BEI SOGNI, di Marco Bellocchio,  è uno struggente dramma familiare, che il regista ha ricavato dal romanzo (me lo sono perso nda) del giornalista Massimo Gramellini.

FAI BEI SOGNI, imbevuto di un rimpianto inconsolabile, narra la storia di un'assenza: un sorriso negato, una porta chiusa a chiave, la rinuncia alla cura da parte di chi vi è preposto, la nostalgia bruciante di quella figura assoluta e inesauribile che è una madre per ogni figlio.

Sicuramente un film, curato esteticamente e nella forma, meritevole di visione. Il regista ha il merito di valorizzare gli elementi più interessanti della storia che, sopratutto quando entra in scena il superbo Valerio Mastandrea, diventa un percorso esistenziale di recupero “nobile” e catartico del passato del protagonista.

Funzionano la prova di tutto il cast e la plumbea ambientazione. Certe scene rimangono ben impresse, come il bambino che balla con la mamma, con la vita domestica che sovrasta quella professionale.

Peccato non si riesca ad evitare qualche lungaggine di troppo (Sarajevo e la celebrazione del ricordo di Superga) che allungano inutilmente il brodo oltre le due ore e dieci.

Anche la parentesi tangentopoli appare superflua ma ci regala un ottimo ed espressivo Fabrizio Gifuni.